Alfa 33: in prova come 40 anni fa - Veloce

2023-02-28 14:41:03 By : Mr. Leon Ye

GRAN MOTORE,  LINEA UNICA. Pochi modelli, nella storia del Biscione, sono stati più popolari dell’ultima, gloriosa erede del “progetto Alfasud”. Dai cancelli della fabbrica di Pomigliano d’Arco, d’altronde, tra il 1983 e il 1995 ne sono uscite quasi un milione. E diciamolo subito: al di là del motore – quel leggendario quattro cilindri boxer che, insieme al bialbero di pari frazionamento e al V6 “Busso”, rappresenta una pietra miliare nella produzione motoristica della Casa milanese – gran parte del suo successo l’Alfa 33 lo deve alla linea. Quella silhouette a “due volumi spezzato”, col muso basso e spiovente e la coda corta, alta e tronca, rimane una delle firme più celebri del Centro Stile Alfa Romeo, all’epoca diretto dall’architetto milanese Ermanno Cressoni. Un un uomo che il popolo alfista non smetterà mai di ringraziare anche per aver “rimaneggiato” le lamiere della Giulietta, un autentico mito su ruote come l’Alfa 75. 

DIVAGAZIONE IN PISTA. L’effetto estetico “gioiellino su ruote”, abilmente creato da Giugiaro con l’Alfasud, sull’Alfa 33 svanisce quasi del tutto. Ma è un cambio di paradigma che va colto in senso buono: le sue forme “crude” e spigolose magari non faranno girare la testa, ma rimangono una sintesi formale perfetta degli anni ’80. Ma siccome un’Alfa è “prima di tutto un gran motore” – o almeno così si dice – abbiamo voluto riprovare una 33 a tanti anni di distanza. E nemmeno una delle versioni più “cavallate” ma una 1300, cioè una tra le motorizzazioni alla base della gamma. E neanche in un posto qualsiasi, ma sulla pista  del Museo Storico Alfa Romeo. 

È COMODA E SI FA NOTARE. Sono passate da poco le dieci del mattino quando giriamo la chiave nel cruscotto – naturalmente a sinistra –  della nostra (per un giorno) Alfa 33 1.3 del 1986 color verde Ottanio. Giancarlo Poli, il suo orgogliosissimo proprietario, custodisce una buona decina di Alfa Romeo d’epoca in garage. La 33, ci racconta, l’ha comprata praticamente a scatola chiusa l’anno scorso, stregato dalla sua accesissima tinta, che pare ottenuta mescolando l’azzurro delle auto della Polizia, con il verde bottiglia. E l’abbinamento con il tessuto beige operato Charleston che fodera sedili e pannelli è semplicemente perfetto. Ha persino un che di chic. La permanenza a bordo è resa ancora più piacevole dalle sedute, ampie e comode, e da un abitacolo straordinariamente spazioso per un’auto che supera solo di un’unghia i quattro metri di lunghezza.

IL BOXER SUONA LA CARICA. Il motore è già caldo e per sentirlo ringhiare basta mezza corsa del pedale dell’acceleratore. E così emerge in tutta la sua purezza l’anima di un’Alfa come non se ne fanno più. Il rumore d’aspirazione, facendo “ballare” verso la zona rossa la lancetta del contagiri, è leggermente meno “profondo” rispetto a quello emesso dai boxer delle 33 più potenti. Ma la musica, in realtà, è sempre quella, perché nemmeno il carburatore a doppio corpo della 1.3 “liscia” è pensato per placare la sete del boxer col contagocce. Nei cilindri il carburante entra comunque “a secchiate” e grazie anche alla leggerezza dell’auto, che ferma l’ago della bilancia a 890 chili a vuoto, il risultato è che i cavalli effettivamente scaricati sulle ruote anteriori sembrano ben più dei 79 reali. Che si sfruttano tutti con grande facilità.

NON “ANNOIATELA” IN BASSO. Il motore della “nostra” 1.3 ha da poco beneficiato di una messa a punto completa. È ben accordato – e si sente – ma una volta portato in temperatura, una bella “strigliatina” è quel che ci vuole per assaporare le tante sfumature del suo funzionamento. Uno dei dieci comandamenti che il buon alfista dovrebbe sempre tenere a mente dice che far addormentare ai bassi regimi il boxer Alfa è quasi un delitto. Questo non significa, però, che serva per forza “tirargli il collo”. La lancetta del contagiri “spazza” le tacche dello strumento che è un piacere e il pur breve rettilineo della piccola pista del Museo Alfa diventa lungo abbastanza per “appoggiare” la quarta. 

GUIDA QUASI DA KART. Non stiamo cercando di staccare un tempo da record, ma scaliamo ugualmente due marce al posto di una. Ritardiamo la frenata senza superare i limiti del buonsenso (del resto i dischi davanti e i tamburi dietro hanno una buona resistenza alla fatica, ma sotto stress non fanno “miracoli”), però ci esibiamo a distanza ravvicinata in una doppia manovra di “punta-tacco”. A quel punto, il muso sta già puntando l’asfalto e andiamo a sfiorare il punto di corda del tornante, con l’Alfa 33 che si corica sulle ruote esterne. È praticamente un gioco da ragazzi. Chissà se è anche merito dell’autografo di Bruno Giacomelli, pilota dell’Alfa di F1 tra il 1979 e il 1982, impresso nella parte interna del cofano… Beh, che ci crediate o no, il mito Alfa si nutre anche di suggestioni simili. E ben vengano, se servono a sentirsi un po’ piloti al volante di una piccola “1300”…

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